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 Acquaviva  dalla preistoria agli arabi

Sembrano non esserci dubbi sul fatto che il suo territorio sia stato abitato fin dal neolitico. Infatti  è quasi certo il fatto che qui abbiano lasciato traccia i Sicani, e ciò è testimoniato dalle tombe a rannicchiamento che fino al secolo scorso erano visibili su un ciglione di contrada “Vignazze”, prima che andassero perdute a causa di opere di bonifica. Grotte destinate alla sepoltura, sono ancora visibili, invece, sui costoni rocciosi del territorio d’Acquaviva e precisamente in contrada “Santa Margherita”, “Solfara”, “Marcatogrande” e “Corvo”.
 
La presenza dei Romani ad Acquaviva è testimoniata da antichi ruderi scoperti nel giugno del 1877 a valle del suo territorio: si trattava di avanzi di un antico edificio di cui rimanevano il pavimento a mosaico e la mura laterizie.
 
Durante la dominazione islamica, i  Bèrberi, costruirono  un casale per consentire ai viaggiatori una sosta di comodo e lo chiamarono Miknas. Dalle variazioni fonetiche di questo nome derivò il termine “michinese” utilizzato in epoca feudale per designare una buona parte di quello che sono oggi le terre di Acquaviva.

Sono stati ritrovati in contrada “Ciarmaritano” numerosi cocci e laterizi che testimoniano la presenza di quel casale arabo e che hanno dato il nome alla stessa contrada (“ciarmariti”-Ciarmaritano). La presenza musulmana ad Acquaviva è provata anche da alcune tombe rinvenute nelle contrade “Santa Margherita” e “Vignazze”: una di esse addirittura continua ad essere definita dalla gente "la grotta dei Saraceni”.

 

 La fondazione

 La data ufficiale della fondazione di Acquaviva è il 20 giugno 1635, e il suo fondatore fu don Francesco Spadafora. In realtà Acquaviva sorse più in alto del  primitivo casale Michinese  fondato dai berberi,  giacché don Francesco Spadafora e la principessa Lucrezia Sanseverino vollero trasferire la loro residenza estiva in un luogo meno afoso del feudo Michinese.

Il nome, Aqua Vivam, fu dato in relazione all’abbondanza delle sorgenti riscontrate nel suo territorio. Successivamente venne unificato in Acquaviva e tale nome venne mantenuto per tutto il tempo feudale e fino al 1862 quando, per evitare confusioni con comuni omonimi esistenti nella Penisola, con decreto legislativo venne aggiunto al toponimo la specificazione “Platani”, derivata dal vicino fiume A quanto pare il luogo adatto su cui costruire il nuovo paese fu trovato il giorno dopo che il principe Spadafora passò una notte insonne a causa del caldo atroce. L’indomani mattina con si era messo alla ricerca di un posto più fresco e attraente e affidò la sua ricerca addirittura alla Madonna della Luce. Ciò spiega anche il fatto che in quel luogo fecero erigere, oltre alla loro residenza e ad altre case, una chiesa a tre navate che dedicarono per l’appunto alla Regina Madre di Dio e Madonna della Luce.

Il nuovo paesino si formò tra il 1622 e il 1642 e ciò ci fa capire perché Acquaviva sia urbanisticamene più moderna dei due paesi vicini, Mussomeli e Sutera, eretti con criteri medievali. Purtroppo problemi economici fecero sì che il possesso dei feudi di Caccione e Michinese divenissero impossibili per la famiglia Spadafora, e dopo alcuni anni e molte avversità economiche, Caterina Spadafora, discendente di don Francesco, alienò all’asta il feudo Michinese che finì nelle mani di donna Francesca Abarca. Era il 23 0ttobre 1680. Alla sua morte, il feudo Michinese e il casale di Acquaviva passarono al nipote Michele Oliveri che ottenne in breve tempo, da Carlo II, l’ambito titolo di duca di Acquaviva che nessun altro fino ad allora aveva avuto.

Il successore di Michele Oliveri, suo figlio Pietro, ebbe la più lunga signoria del feudo acquavivese, ma a differenza del padre non badò certo a spese, dedicandosi ad una vita da giovane aristocratico fatta di lussi, sperperi e debiti.

L’ultimo duca acquavivese, in epoca feudale, suo nipote Pietrino, anche lui sciupone e indebitato, tanto da pensare di cedere il feudo al principe Lucchesi Palli di Campofranco nel 1826 per far fronte ai suoi debiti.



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